Attualmente la sanità integrativa rappresenta una spesa di 4,3 miliardi di euro a fronte di una spesa previsionale del Servizio Sanitario Nazionale per il 2022 di circa 124 miliardi di euro
La sanità integrativa non deve entrare in concorrenza con quella pubblica ma, appunto, integrarla: è questo, in estrema sintesi, il senso di quanto affermato questa mattina dalla Fnomceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, per voce del Segretario Roberto Monaco, in audizione al Senato, di fronte alla 10ª Commissione Affari sociali, per l’Indagine conoscitiva sulle forme integrative di previdenza e assistenza sanitaria.
Attualmente la sanità integrativa rappresenta una spesa di 4,3 miliardi di euro a fronte di una spesa previsionale del Servizio Sanitario Nazionale per il 2022 di circa 124 miliardi di euro. La spesa diretta delle famiglie è di quasi 38 miliardi.
“Riteniamo che quello della sanità integrativa sia un tema complesso – ha premesso Monaco - e anche molto sentito dalle professioni medica e odontoiatrica. Per avere una corretta visione della questione è necessario distinguere tra le prestazioni che devono essere garantite dal Servizio Sanitario Nazionale, e che sono i Livelli essenziali di assistenza, e le prestazioni che sono invece di pertinenza della sanità privata e che sono appunto prestazioni integrative. Si tratta di prestazioni diverse: per la sanità integrativa si parla appunto di prestazioni che “integrano” e non di prestazioni essenziali.In altri termini, la sanità integrativa non deve entrare in concorrenza con quella pubblica, ma deve bensì integrarla.L'obiettivo è anche determinare un nuovo sistema di regole che garantisca l'intermediazione della spesa privata. Ciò significa individuare un soggetto terzo, che non può essere il mercato, da frapporre tra il cittadino utente ed il sistema di sanità integrativa, al fine di regolare tale rapporto, con regole chiare anche su tariffe e prestazioni”.
“Non c’è alcuna preclusione – ha chiarito - rispetto al settore privato laddove contribuisca a rendere più sostenibile il sistema: bisogna che la sanità resti universalistica al fine di garantire a tutti i cittadini pari diritti di cura. Il Servizio Sanitario Nazionale sta, infatti, perdendo quote importanti di universalismo contraddicendo la sua funzione storica di strumento di coesione sociale e rimanendo esposto ad un contingentamento progressivo delle risorse che sta creando delle disuguaglianze territoriali socialmente inaccettabili”.
“Per concorrere all’obiettivo della massima tutela della salute – ha continuato - occorre potenziare e concentrare l’impegno nell’ambito delle prestazioni e dei servizi non previsti dai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) che il Servizio Sanitario Nazionale è tenuto a fornire a tutti i cittadini per tramite delle regioni. L’obiettivo è quindi quello di garantire la tutela della salute ad un numero sempre maggiore di persone e a persone sempre più anziane: per raggiungerlo è necessario sviluppare un modello di sanità integrativa che sia di reale sostengo al sistema pubblico, che pur mantenendo un ruolo centrale in termini di universalità del servizio a tutti i cittadini, possa essere supportato allo stesso tempo nelle aree più critiche, quali assistenza domiciliare, cronicità, non autosufficienza e prevenzione e promozione della salute e stili di vita.
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